da La Voce
Dopo il referendum e
la sentenza della Corte costituzionale occorre individuare nuovi
strumenti per rendere più efficiente il sistema dei trasporti pubblici. O
almeno per ridurne le perdite. Due proposte coerenti con i principi di
autonomia e responsabilità di Regioni ed enti locali.
L’assemblea capitolina ha approvato, quasi
all’unanimità (1 voto contrario e 2 astenuti) l’affidamento “in house”
ad Atac dei servizi di trasporto pubblico locale dal 1º gennaio 2013 fino al 3 dicembre 2019.
Tutte
le forze politiche capitoline hanno commentato in modo entusiastico la
decisione, sottolineando come con l’affidamento in house si riesca a
garantire un miglior servizio alla città e si possano salvaguardare i
posti di lavoro.
AZIENDE DISSESTATE
Sembra ci sia dimenticati che Atac è stata affidataria in-house dal
2005 fino a oggi e non ha certo brillato né per qualità del servizio, né
per risultati economici. Anzi, i risultati economici sono stati
talmente catastrofici (nel biennio trascorso le perdite sono state pari a
circa 500 milioni di euro e quest’anno si viaggia su un
preventivo di circa 170 milioni di buco) che l’affidamento in-house fino
al 2019 è considerato dai vertici di Atac condizione indispensabile per
negoziare con le banche un accordo che consenta il salvataggio della
società.
Purtroppo Atac non è il solo affidatario diretto a
registrare performance negative: basti pensare a Cotral, per restare nel
Lazio, o alla pesante crisi che sta investendo le aziende di trasporto
pubblico locale campane, che sono in liquidazione (Cstp) o che
addirittura sono in stato fallimentare (Eavbus, con un buco di circa 500
milioni).
La stessa musica, anche se con risultati meno eclatanti,
si sente nelle aziende pubbliche di Tpl affidatarie di servizi tramite
gara e nell’esperienza delle società miste: secondo Asstra,
l’associazione che raggruppa le aziende di Tpl di proprietà pubblica,
oltre il 40 per cento delle aziende associate presentano bilanci in
rosso e l’esperienza di Genova, il più rilevante esempio di parziale
privatizzazione di un’azienda di trasporto pubblico locale, è fallita
miseramente con l’abbandono del socio privato.
Le ragioni dei risultati negativi sono
molteplici e strutturali, e non coinvolgono solo le aziende pubbliche,
anche se in quest’ultime, e in particolare in quelle assegnatarie di
affidamenti diretti, si trovano i risultati più preoccupanti.
TRATTAMENTO “SPECIALE” PER AZIENDE PUBBLICHE
Lo strumento principe individuato fin dal lontano 1997 per migliorare
la qualità e l’efficienza dei servizi di trasporto pubblico, l’obbligo di gara e la separazione netta tra le funzioni di regolazione e controllo e quelle di gestione, non è più disponile, travolto dal referendum
popolare dello scorso anno e dal pronunciamento della Corte
costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 4 del Dl
138/2011, che ricalcava, praticamente alla lettera, l’articolo 23 bis
del Dl 112/08 abrogato col voto popolare.
Occorre dunque fare i conti
con il nuovo quadro normativo e individuare altri strumenti per rendere
più efficiente il sistema dei trasporti pubblici o quantomeno per
provare a ridurne le perdite.
L’intervento deve svilupparsi lungo due direzioni.
Da un lato, occorre potenziare la strumentazione di regolazione
del settore, assicurando che tutte le imprese, siano esse pubbliche o
private, affidatarie dirette o tramite gara, rispettino almeno gli
standard, che dovranno essere fissati dall’Autorità dei trasporti, in
merito ai criteri di definizione delle compensazioni per gli obblighi di
servizio pubblico, delle tariffe, della qualità: in altri termini,
tutta la normativa che la nascente Autorità dei trasporti dovrà
predisporre per garantire il corretto funzionamento dei servizi di
trasporto pubblico dovrà applicarsi anche dagli affidatari in-house.
Dall’altro lato, occorre però potenziare gli strumenti di controllo sulle imprese pubbliche,
siano esse affidatarie dirette o tramite gara, e sulle pubbliche
amministrazioni locali loro proprietarie, per evitare che la
“discrezionalità” loro lasciata si traduca in eventuali costi aggiuntivi
per la collettività. In altri termini, prendendo atto che le
amministrazioni possono organizzare il servizio pubblico come meglio
credono, occorre introdurre regole per assicurasi che, qualora le
società esercenti i servizi pubblici locali siano pubbliche, i loro
bilanci siano in ordine, evitando così di far pagare alla collettività
gli extra-costi dovuti alla cattiva gestione delle aziende oppure
a politiche dell’ente proprietario tese a scaricare sulle aziende i
propri problemi di bilancio.
Per le aziende pubbliche occorre pensare
a un “trattamento speciale” perché anche le vicende di queste ultime
settimane sono lì a ricordarci che queste imprese, benché siano
sottoposte al codice civile, non possono di fatto fallire, o quantomeno i
costi politici e sociali del loro fallimento sono talmente alti
che la politica, tutta, si mobilita per trovare una soluzione
“straordinaria” che alla fine ricade sulle casse pubbliche. Allora,
anziché pensare a strumenti “straordinari” quando i disastri sono già
stati fatti, occorre pensare a strumenti “straordinari” preventivi, che
siano in grado di evitare la certificazione dei disastri.
Le
possibili linee di intervento sono due e operano una sul versante
“aziendale” e l’altra sul versante “degli enti proprietari” delle
aziende. Possono essere considerate alternative, ma al tempo stesso
potrebbero anche essere complementari e operare contemporaneamente.
Una
prima ipotesi è quella di introdurre nell’ordinamento una norma che
preveda l’affidamento delle aziende pubbliche in perdita ad “amministratori indipendenti”:
l'intervento, che sottrae l’azienda dalla gestione dell’ente
proprietario, dovrebbe avvenire alle prime avvisaglie di perdite e non
quando la situazione è già gravemente compromessa; dovrebbero essere
escluse solo le società quotate. Il disegno di legge di Stabilità
introduce una norma che, per quanto confusa nella sua attuale
formulazione, sembra andare in questa direzione, proponendo per il
trasporto pubblico locale la nomina di commissari ad acta e la
decadenza dei direttori, qualora la Regione non sia in grado di
assicurare l’equilibrio e l’appropriatezza della gestione e di elaborare
e rispettare i piani di rientro. Così come scritta la norma è
certamente inapplicabile, indica però la strada da seguire: se le
aziende e le amministrazioni locali non sono in grado di assicurare una
corretta gestione, devono essere “commissariate”.
Una seconda ipotesi, più coerente col modello di federalismo fiscale, e con l’ordinamento costituzionale, è quella di consolidare i bilanci
delle aziende pubbliche nel bilancio degli enti proprietari,
intervenendo tramite “poteri sostitutivi” nei confronti dell’ente,
qualora esso non sia in grado di rispettare gli equilibri di bilancio.
Anche in questo caso l’intervento sostitutivo deve avvenire ben prima di
quanto non si faccia oggi, evitando tra l’altro di far pagare alle
amministrazioni che devono dichiarare il dissesto le colpe degli
amministratori che li hanno preceduti. Alcune indicazioni in tal senso
sono inserite nel Dl 174/12 attualmente in fase di conversione.
Entrambe
le proposte, qui semplicemente abbozzate, richiedono ulteriori
approfondimenti tecnici e giuridici e non risolvono certo le molteplici
problematiche strutturali che affliggono il settore del trasporto
pubblico locale nel nostro paese: hanno però il pregio di poter essere
applicate a tutte le aziende pubbliche, di contenere i danni della “mala
gestione” e di essere coerenti con i principi di autonomia e
responsabilità che devono caratterizzare l’attività delle Regioni e
degli enti locali.