La crisi economica ha ridotto gli introiti per le casse dello Stato, questo è vero, ma dall’analisi della composizione di tale gettito si evince una verità tanto sconvolgente quanto sottaciuta: ossia che buona parte di esso è composta da quello che i cittadini-automobilisti pagano sotto forma di tasse.
In altre parole, lo Stato è auto-dipendente per buona parte del suo gettito erariale, e a causa di una visione quanto mai miope e di corto raggio, invece che inventare ricette efficaci e innovative per rilanciare l’economia, preferisce continuare a dipendere pesantemente dal settore dell’auto e rastrellare soldi dalle tasche degli automobilisti che, pur mugugnando, alla fine pagano sempre. Pagano pur avendo sempre meno soldi per fare fronte alle spese che l’uso dell’auto comporta, e al costo della vita che cresce.
In pratica, lo Stato fonda buona parte dei suoi introiti su un settore in crisi profonda, che invece di puntare sulla tecnologia per rilanciarsi, punta solo a ridurre i costi connessi al lavoro, togliendo diritti agli operai minacciandoli di chiudere le fabbriche. Del resto, già da tempo le auto andiamo a fabbricarle in Brasile, in Polonia, in India e in Cile, il lavoro e con esso il PIL diminuisce in Italia, e per l’Erario presto non resterà che aumentare la pressione fiscale su quelli (sempre meno) che potranno ancora permettersi un’auto…catastrofismo? Chissà, ne riparleremo tra qualche anno.
L’ultimo
rapporto Isfort registra un fatto assai interessante: aumenta tra i cittadini italiani la propensione all’utilizzo dei mezzi pubblici (vuoi per la crisi economica e il caro benzina, vuoi per la fine degli incentivi all’acquisto di veicoli) ma contemporaneamente gli enti pubblici tagliano pesantemente i servizi o ne aumentano i prezzi. Non ci sono risorse, è la risposta classica che essi danno di questo fenomeno. Si arriva al paradosso che i mezzi pubblici abbondavano quando la gente li usava di meno, mentre manchino proprio ora che la gente ne ha bisogno.
Lo scorso 29 aprile, in un comunicato stampa l’ Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica denuncia che
“il comparto auto motive detiene il primato, in Italia, in termini di contributo alle entrate fiscali dello Stato, con oltre 67 miliardi di Euro versati nel 2009, pari al 16% del totale del gettito fiscale e al 4,5% del PIL, l’incidenza più alta tra i principali Paesi europei”.
Già nel 2006, il rapporto della Fondazione Caracciolo, «Mia carissima automobile», denunciava un fortissimo e rapido aumento del prelievo fiscale derivante dal settore auto motive, valutando in oltre 58 miliardi di euro il gettito nel 2005: oltre il 70% di aumento, a prezzi costanti, rispetto al 1985. Oggi l’aumento è ancora più rapido, e con la prossima manovra finanziaria si profilano ulteriori inasprimenti della pressione fiscale sul comparto.
Tale gettito rappresenta una quota crescente del PIL pari al 2,76% nel 1985, al 3,03% nel 2005 e al 4,5% nel 2009.
Da dove “guadagna” l’Erario? Secondo l’ANFIA la principale causa della diminuzione del gettito erariale non è tanto il calo delle nuove immatricolazioni di auto, visto che il 2009 si è chiuso sostanzialmente sugli
stessi numeri del 2008, quanto la crisi del mercato dell'usato (-5%) e dei comparti di veicoli commerciali leggeri e pesanti, autobus, autocaravan, rimorchi e semirimorchi, che hanno tutti accusato flessioni a due cifre tra il 20% e il 50%. Hanno avuto il loro peso anche la scelta degli italiani di
usare meno l'automobile e la riduzione del volume di attività del
trasporto merci su gomma determinato dal forte rallentamento economico.
L'andamento del gettito fiscale dipende da una serie di voci che interessano direttamente l'automobilista e che vale la pena analizzare.
Nel cosiddetto "ciclo di vita contributivo" degli autoveicoli
la parte preponderante della tassazione è quella derivante dall'utilizzo dell'autoveicolo: 51,2 miliardi di euro, cioè il 76,2% del totale del gettito proveniente dal comparto, mentre nel 2008 questa cifra ammontava a 54,2 miliardi di Euro, pari al 77,7%. Sale invece la quota di contribuzione relativa all'acquisto di una vettura: IVA e dell’IPT lo scorso anno hanno fruttato all'erario 9,48 miliardi di euro, con una crescita del 4,3% a causa, secondo l'ANIA, dell’incremento del gettito dell'IVA sull’acquisto di autoveicoli nuovi. Cresce anche, ma solo dello 0,6% rispetto al 2008 il gettito derivante dal pagamento del bollo. Lo scorso anno sono stati incassati 6,51 miliardi di euro derivanti dalla tassa di possesso, principalmente per effetto dell'
incremento del parco circolante.
Allo Stato interessa davvero incentivare il trasporto pubblico?
Alla luce di questi dati potremmo concludere, e la realtà sembra purtroppo darci ragione, che allo Stato non solo non interessi incentivare il TPL, ma che voglia incentivare invece l’uso dei mezzi privati su gomma, che rappresentano per esso una vera e propria gallina dalle uova d’oro. In un periodo di crisi economica, ed in assenza di politiche di sviluppo che sappiano tracciare strade nuove e alternative al modello esistente, puntando magari su ricerca e sviluppo, green economy, prodotti ad alto valore aggiunto e hi tech, (settori in grado di creare lavoro per migliaia di giovani che, invece, se ne scappano all’estero) senza molta fantasia si continua a utilizzare come un bancomat per tappare le falle il settore dell’automotive, oltre a tutto destinando solo in minima parte i proventi al miglioramento della mobilità collettiva.
Riassumendo, lo Stato, alle prese con un gettito erariale sempre più ridotto a causa delle gravi difficoltà in cui versa l’economia, si aggrappa alla zattera dell’automotive, e questa sempre maggior dipendenza da tale comparto non può non configgere con l’esigenza di orientare i cittadini e le aziende verso l’utilizzo di mezzi di trasporto collettivi, specie quelli che non consumano carburanti di tipo tradizionale. Ciò equivarrebbe infatti a tagliare una fonte importante di risorse che lo Stato non saprebbe reperire altrove, in mancanza di diverse politiche economiche come ricordavamo prima.
Liberarsi dall’auto-dipendenza dell'economia italianaE’ interessante notare come la percentuale di PIL (4,3%) introitata sotto forma di tasse vada in gran parte spesa per costi sociali derivati dall’utilizzo dei mezzi privati (3%): cure mediche dovute ad incidenti e a malattie da inquinamento, indennità di invalidità, costi dovuti alla congestione stradale, ecc.
Forse ci si dovrebbe convincere che una economia basata in proporzione così rilevante sui mezzi di trasporto su gomma non è molto lungimirante né più a lungo sostenibile.
Leggiamo su “Terra” del 2 gennaio 2010 un estratto dell’intervista a
Daniel Cohn Bendit, europarlamentare verde leader della lista Europe écologie:
"Il settore automobilistico annaspa e ogni governo ci mette tanti soldi. è la strada giusta? Nell’intera Unione europea c’è un dibattito molto difficile sull’auto. La maggior parte della politica, però, mente. La verità è che in tutto il Vecchio continente siamo arrivati a un 35 per cento di sovrapproduzione di auto. E la posizione della sinistra e della destra sul settore è la stessa di venti anni fa sulla siderurgia. “Bisogna salvare la siderurgia”, si diceva. Ma ora dov’è questa siderurgia? Non c’è più. Gli incentivi, così come concepiti finora, non hanno trasformato niente. Diversamente da quanto fatto finora, vanno invece utilizzati per la trasformazione ecologica dell’industria dell’auto. La Fiat, come gli altri colossi, dovrà progressivamente produrre meno auto e si dovrà investire sempre di più nella mobilità ecologica delle città.
Come cambiare, allora, senza che nessuno debba rimetterci il lavoro? Certamente nessun cambiamento è ammissibile se fatto sulla pelle dei lavoratori, che anzi vanno accompagnati e sostenuti. Oggi bisogna cambiare totalmente il sistema di mobilità: innanzitutto la maggior parte delle automobili prodotte è troppo inquinante, e serve una regola europea per far finire questo tipo di produzione. Occorre fare in modo che un certo tipo di economia, vecchia e inquinante, non cresca più. Un esempio concreto di riconversione ecologica?
Il tram. è il futuro di tutte le città. La produzione di tram nei prossimi 10-15 anni sarà più grande di quella di Airbus e degli altri colossi. La mia proposta è quella di dare un salario di trasformazione ai lavoratori che vengono dall’industria dell’automobile per consentire loro, ad esempio, di costruire tram. Questa è una politica industriale nuova. La società fondata sull’automobile nei prossimi 10-15 anni sarà finita. L’errore tradizionale della destra e della sinistra è di pensare che esista una risposta alla crisi economica e finanziaria che non sia una risposta ecologica. è vero esattamente il contrario: contro la crisi la risposta ecologica è l’unica possibile.”
E, aggiungiamo noi, anche
il treno pensato per il trasporto metropolitano e regionale potrebbe essere una grande risorsa per l’economia, ma solo se sapremo spezzare il corto circuito tra introiti da trasporto privato e finanziamento della spesa corrente dello Stato, definendo tanto per cominciare l’obbligo di destinare alla mobilità pubblica la maggior parte dei fondi ottenuti tassando la mobilità privata.